l’occupazione dell’Etiopia e le responsabilità della Chiesa

Un articolo di Antonio Cataldi coraggiosamente (è il caso di dirlo) pubblicato sul numero di marzo 2018 della rivista dei missionari comboniani NIGRIZIA scoperchia un tema finora poco analizzato: le responsabilità della Chiesa cattolica nel puntellare l’occupazione fascista dell’Etiopia.

E’ ben nota sul piano storiografico la stretta connessione tra la cosiddetta “età dell’Imperialismo” (1870-1914) e il contemporaneo sviluppo dell’attività missionaria delle varie chiese. In questo senso aveva visto bene l’imperatore d’Etiopia Teodoro quando, intorno al 1863, dichiarava al console francese “Conosco i metodi dei governi europei allorché desiderano ottenere un paese  orientale, prima mandano avanti i missionari, poi i consoli a sostegno dei missionari ed infine i battaglioni in appoggio ai consoli” (1).

Nel caso dell’occupazione fascista dell’Etiopia l’atteggiamento del Vaticano fu, ovviamente, di pieno appoggio. Non erano in questione solo i rapporti (allora idilliaci) tra le gerarchie ecclesiastiche e la dittatura ma sprattutto la possibilità di “evangelizzare” vastissimi territori annettendosi possibilmente la locale chiesa copta, caratterizzata da una millenaria indipendenza (2).

E’ proprio in Etiopia che venne varata dal regime la prima legge razziale italiana, il Regio Decreto Legge 19.4.1937 n. 880 (noto come decreto Lessona, dal nome del ministro delle colonie) che proibiva ogni “relazione d’indole coniugale” tra gli italiani e i sudditi delle colonie,comminando  come pena “la reclusione da uno a cinque anni”. A questa misura (come pure alle più note leggi razziali dell’anno successivo) non vi fu alcuna reazione da parte della Chiesa (mentre non mancarono prese di posizione apertamente antisemite) e venne accettato il principio di celebrare messe separate tra bianchi e neri, principio contestato solo da alcuni religiosi locali come il vescovo eritreo Chidanè Mariam Cassa (3).

L’articolo mette bene in luce la rivalità tra i diversi dicasteri vaticani e i vari istituti missionari italiani (a cui il regime voleva fosse assegnata l’esclusiva dell'”evangelizzazione” cacciando i missionari “stranieri”) nello spartirsi il territorio, l’emarginazione del clero autoctono ed il tentativo di imporre anche ai fedeli provenienti dalla chiesa copta il rito romano.

Piena e totale poi la responsabiità dei cappellani militari che si guardarono bene dal denunciare le atrocità della guerra fascista, come l’uso dei gas.

 

Note:

(1) cit. da Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale.

(2) La nascita del Cristianesimo in Etiopia risale al 333 (nell’ impero romano governava Costantino) quando venne diffuso da missionari provenienti dall’Egitto. Le chiese etiopica ed egiziana definiscono se stesse come “ortodosse”, ma non sono riconosciute come tali dagli ortodossi propriamente detti (nè dai cattolici) che le considerano eretiche (monofisite) per aver rifiutato le decisioni del concilio ecumenico di Calcedonia (451). Comunemente la chiesa egiziana (e quella etiopica) viene definita “copta”. Cfr. Aristide BRUNELLO, Le chiese orientali e l’unione, Massimo, 1966, p. 424 ss.

(3) nel periodo precedente all’occupazione italiana, grazie all’attività missionaria, si era creata una piccola chiesa cattolica locale (che ancora esiste), con un proprio clero, che aveva conservato i riti della chiesa copta.

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