I PROFESSORI CHE DISSERO NO A MUSSOLINI (e non giurarono fedeltà al regime fascista)

Destino singolare quello del filosofo Piero Martinetti, oggi ricordato soprattutto per un gesto da lui considerato come la banale esecuzione di un atto dovuto: il rifiuto di prestare giuramento al regime fascista.

Eppure sono proprio gesti nobili e significativi come questo che connotano una persona e che ci fanno riconoscere Martinetti come quella “grande anima” in un’epoca di generale abiezione che egli effettivamente fu.

Nel 1932 la stampa fascista poteva a buon diritto gongolare che solo 12 professori universitari su 1250 avessero rifiutato di prestare il giuramento prescritto. Forse furono 15 o 16 (le fonti non sono univoche) ma il risultato non cambia.

Certo, gli inviti alla prudenza si erano sprecati. Togliatti, dall’esilio, aveva invitato all’”entrismo” negli interessi del partito, Croce (che non era docente universitario) aveva consigliato di giurare per non privare le giovani generazioni della possibilità di ricevere un insegnamento “non allineato”, la Chiesa (legata a doppio filo al regime) considerava il giuramento non incompatibile con la Fede.

Parole che giungevano come balsamo a quella massa di pecoroni, ignavi e arrivisti che affollavano (come affollano ancor oggi) le file della docenza universitaria. Era fin troppo comodo seguire la massa e conservare incarichi prestigiosi e lautamente pagati. I docenti dell’Università Cattolica furono addirittura più realisti del re. Il rettore p. Gemelli aveva ottenuto che non dovessero giurare in quanto dipendenti di un’università privata, ma preferirono giurare in massa salvo pochissimi (incluso lo stesso Gemelli, così reazionario da ritenere che la fedeltà al fascismo non potesse prevalere sulla fedeltà al papa).

Ecco i nominativi dei docenti delle università statali che si rifiutarono di prestare giuramento (l’elenco è probabilmente incompleto)

Giuseppe Antonio Borgese (estetica)

Ernesto Buonaiuti (storia del cristianesimo)

Aldo Capitini (filosofia)

Mario Carrara (antropologia criminale e medicina legale)

Gaetano De Sanctis (storia antica)

Antonio De Viti De Marco (scienza delle finanze)

Floriano Del Secolo (lettere e filosofia)

Giorgio Errera (chimica)

Cesare Goretti (filosofia del diritto)

Giorgio Levi Della Vida (lingue semitiche)

Fabio Luzzatto (diritto civile)

Piero Martinetti (filosofia)

Bartolo Nigrisoli (chirurgia)

Errico Presutti (diritto amministrativo)

Francesco Ruffini (diritto ecclesiastico)

Edoardo Ruffini (storia del diritto)

Lionello Venturi (storia dell’arte)

Vito Volterra (fisica matematica)

Errera, Levi Della Vida e Volterra erano di origini ebraiche. Levi Della Vida poi scriverà:

“Che la cosa non fosse da menarne gran vanto lo avevo sempre creduto e anche dopo che mi fu restituito il posto ben pochi si sono dati la briga di cercare di dissuadermi da quell’opinione… Per colmo della disavventura la promulgazione delle leggi antiebraiche che nell’autunno del 1938 avevano estromesso dall’insegnamento un numero rilevante di professori ebrei finì con l’annegare il mio caso nel loro, tanto più notorio e lacrimevole; così i più credettero e credono che io abbia perduto il posto a causa del mio sangue e non delle mie idee…

Che l’esser messo in quella compagnia non mi riesca troppo gradito non dovrebbe apparire strano a chi rifletta che tra coloro che persero la cattedra per motivi “razziali” ve n’era più d’uno che fin dalla prima ora e fino all’ultima aveva militato con entusiasmo e devozione sotto l’insegna del littorio.

Gino Arias, Giorgio Del Vecchio, Carlo Foà, Mario Attilio Levi, Tullio terni sono nomi eminenti nel campo degli studi, ma confesso che vedermi messo in un fascio con loro (il vocabolo qui è appropriato quanto mai) mi fa provare un certo disagio” (1).

La lettera di Martinetti al ministro della pubblica istruzione:

“13 dicembre 1931

Eccellenza!

Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza.

Ho sempre diretta la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l’uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l’E.V. riconoscerà che questo non è possibile.

Con questo non intendo affatto declinare qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l’E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principî che hanno retto tutta la mia vita.

Dell’E.V. dev.mo

Dr. Piero Martinetti “(2).

NOTE

(1) Giorgio Boatti, “Preferirei di no. Le storie di dodici professori che si opposero a Mussolini”, Torino, Einaudi, 2001, p. 126-127

(2) G. Boatti cit., p. 270-271; Amedeo Vigorelli, “Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato”, Milano, B. Mondadori, 1998, p. 285- 298.

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